domenica 19 febbraio 2017


Antonio Tabucchi con questo romanzo ci trasporta in una Lisbona della fine degli anni ’30, in pieno regime dittatoriale salazarista.
Pereira è un giornalista che lavora al “Lisboa”, e che dopo vent’anni di cronaca nera si dedica alla rubrica culturale del giornale. Vive immerso nei suoi pensieri dividendosi tra l’amore per la letteratura francese ottocentesca e il ricordo della moglie, morta di tubercolosi anni prima, della quale rimane solo una fotografia a cui si rivolge ogni giorno come se lei fosse ancora vivente. E’ profondamente abitudinario anche nel mangiare: ogni giorno si reca allo stesso Caffè e ordina la stessa limonata e la stessa omelette.
E’ un uomo obeso, cardiopatico, mediocre, completamente avulso dalla realtà che il Portogallo sta vivendo, fino a quando un giorno, impressionato da un articolo sulla morte scritto da Francesco Monteiro Rossi, decide di chiamare il giovane autore di origini italiane per proporgli di scrivere dei necrologi anticipati di personaggi celebri ancora in vita. Il giovane accetta immediatamente, ma gli scritti che gli mostrerà successivamene non corrispondono alle aspettative di Pereira, perché intrisi di critiche alla politica del regime verso cui è evidente la profonda avversione.
Non sapendo spiegarsi il motivo, Pereira prende a cuore le sorti del giovane italiano e sebbene consideri inpubblicabili i suoi scritti, lo paga lo stesso e lo prende addirittura sotto la sua ala protettrice, considerandolo quasi il figlio che lui e sua moglie non hanno mai avuto.
Man mano grazie all’ardore, allo spirito irrequieto e all’entusiamo verso la vita da parte di Francisco Monteiro, influenzato inoltre dalle idee della fidanzata di quest’ultimo, Marta, Pereira comincia a prendere consapevolezza della realtà che lo circonda: il clima di intimidazione e violenza che vive la sua società e la censura a cui è sottoposta la stampa. 
Poco tempo dopo, Pereira si reca in una clinica talassoterapica per curare la sua cardiopatia, dove conosce un altro personaggio fondamentale nella metamorfosi interiore che sta intraprendendo, il dottor Cardoso, a cui racconta dei sommovimenti che sta avvertendo dentro di sé e che non riesce a spiegare in maniera logica, avendo sempre preferito una vita tranquilla e senza tante pretese. Cardoso, allora gli spiega una teoria psicologica interessante che sta prendendo piede in Francia.
Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sè, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perchè noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone. Il dottor Cardoso fece una piccola pausa e poi continuò: quella che viene chiamata la norma, o il nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l'io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la coorte delle anime, meglio la confederazione, e la preminenza si mantiene fino a quando non viene spodestato a sua volta da un altro io egemone, per un attacco diretto o per una paziente erosione.
Ed aggiunge:
“Sa cosa le dico, dottor Pereira, se lei vuol aiutare l'io egemone che sta facendo capolino, forse deve andare altrove, lasciare questo paese, credo che avrà meno conflitti con se stesso, lei in fondo può farlo, è un professionista serio, parla bene il francese, è vedovo, non ha figli, cosa la lega a questo paese? Una vita passata, rispose Pereira.
Liberatorio sarà il suggerimento che infine gli darà Cardoso:
“la smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro
Lasciandosi guidare da questo nuovo "io", Pereira uscirà dal guscio in cui ha condotto una vita ovattata per anni e trarrà la forza per agire e dare una dignità alla sua fino ad allora meschina esistenza intrecciandola  indelebilmente non solo con quella di Francisco Monteiro ma con chiunque aspira alla piena libertà di pensiero.
Antonio Tabucchi con uno stile delicato e amorevole ha regalato all’umanità un personaggio indimenticabile, Pereira, e con l’uso ripetitivo della frase “Sostiene Pereira” sembra dare maggior risalto alla sua modestia, quasi sia il resoconto di un interrogatorio in cui Pereira cerca di difendersi ostinatamente.
La storia è di un’attualità sconcertante, non sembra sia cambiato gran che dal periodo di Salazar in Portogallo e oggigiorno anche i Paesi che sembrano più “liberi” ci chiediamo, forse non a torto, se lo siano veramente.
Pereira rappresenta in fondo l’eroe che ciascuno di noi potrebbe diventare, se solo volessimo ascoltare quel piccolo disagio che avvertiamo ogni tanto dentro di noi e decidessimo di seguirlo per scoprire verso quali lidi ci può condurre invece di lasciarci intorpidire dalla vita sonnolenta e comodamente consuetudinaria che trasciniamo.
La grande letteratura è quella che ci induce a porci domande scomode e a ricevere risposte ancora più scomode su di noi, per questo motivo sicuramente “Sostiene Pereira” ne è un suo piccolo gioiello.

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